
Il castello di Villasor, in provincia di Cagliari, è uno dei rari esempi, in Sardegna, di casa signorile fortificata. Per le sue caratteristiche architettoniche, è facilmente riconducibile alla tipologia della masia, una sorta di fattoria baronale fortificata, evoluzione, di matrice spagnola, della villa di epoca romana. Edificato agli inizi del Quattrocento, il maniero presenta però schemi e moduli costruttivi strettamente legati al secolo precedente, per impostazione formale e per concezione tecnico-strutturale. Nel corso dei secoli essa ha subito profonde trasformazioni legate alle mutate esigenze funzionali, perdendo gradualmente la sua vocazione difensiva a vantaggio di quelle residenziale e agricola.
Il castello Siviller è oggi dislocato in posizione pressoché baricentrica rispetto al piccolo centro di Villasor, in prossimità della chiesa parrocchiale di San Biagio. Castello e chiesa, simboli del potere religioso e laico, hanno costituito un polo di aggregazione, attorno al quale, a partire dal XV secolo, si è sviluppata l’antica villa di Sorres. Villasor, infatti, costituisce un esempio di ripopolamento rurale legato all’iniziativa baronale, in contrapposizione alla volontà dei pastori barbaricini, che, ritenendo ormai acquisito il diritto di utilizzare queste zone per il pascolo, cercarono di impedirne la ricolonizzazione agricola.
Nel 1414 Giovanni Sivilleri, doganiere del castello di Cagliari e procuratore reale, divenne feudatario della ParteIppis. Il re Alfonso d’Aragona concesse in feudo a Giovanni Siviller l’intera Curatoria di Parte Ippis. La carta di infeudazione è datata 27 ottobre 1414, identifica con precisione i confini del nuovo feudo, e stabilisce che il futuro barone aveva diritto di esercitarvi la giustizia di primo grado civile e penale.
Il tentativo di ripopolare il villaggio di Sorres, quasi completamente abbandonato in seguito a pestilenze, carestie e scontri armati, provocò la reazione violenta dei pastori, in quanto la rifondazione dell’antico insediamento costituiva una minaccia per i propri interessi. Forse per questo, nel 1415, Sivilleri chiese ed ottenne l’autorizzazione a costruire una fortezza in prossimità della parrocchiale di Santa Maria, sita nei pressi della strada reale e demolita a metà Ottocento. La nuova fortezza doveva garantire la difesa degli abitanti dalle incursioni barbaricine, nonché da eventuali battaglie tra l’esercito aragonese e quello del giudicato d’Arborea. Inoltre, in ottemperanza a quanto previsto nell’atto di infeudazione, ospitava la residenza del feudatario. La scelta dell’area fu probabilmente influenzata anche dalla preesistenza di una torre con funzione di controllo o dogana, la cui struttura sarebbe stata inglobata nella nuova costruzione e ne avrebbe condizionato lo sviluppo planimetrico. Il castello non fu mai oggetto di conquista e subì un unico tentativo di assedio, a metà del Seicento, durante una controversia tra il marchese Biagio Alagon e Don Agostino Castelvì.
Con la definitiva conquista aragonese della Sardegna, il castello si trasformò rapidamente da baluardo difensivo in residenza signorile, conservando al suo interno alcuni ambienti adibiti a carceri. La proprietà del castello nel XV secolo passò dai Sivilleri ai Besora, agli inizi del XVI secolo fu ereditato da Giacomo Alagon ed elevato prima a Contea (1537) e poi a Marchesato (1594). La famiglia Alagon mantenne il possesso del Marchesato fino al XVIII secolo, quando passò alla famiglia De Sylva, fino all’abolizione del sistema feudale, (1835-1840). Nel XVIII secolo, come è attestato da alcuni contratti di appalto, si avviò la ristrutturazione del castello. Documenti ottocenteschi riportano ulteriori interventi che hanno previsto la demolizione e lo smontaggio di alcune parti, non meglio identificate, che sarebbero state recuperate e utilizzate dal fattore baronale, Giuseppe Pinna, per abbellire e risistemare la propria casa.
Inizialmente, dopo l’abolizione del sistema feudale, il castello ospitò la sede del Mandamento, le sedute del Consiglio e la scuola femminile. A metà del XIX secolo esso era ancora sede del carcere mandamentario, che poco dopo fu dismesso, mentre i detenuti venivano trasferiti nella nuova struttura detentiva di Buoncammino a Cagliari. Negli anni successivi all’Unità d’Italia, la famiglia De Sylva, proprietaria del castello ma residente in Spagna, procedette alla vendita di questo e dei consistenti fondi agricoli ad esso connessi, che furono acquistati dai Cossu, commercianti di Cagliari. La vendita della proprietà alla famiglia Cossu decretò la dismissione definitiva del castello come sede di pubblica utilità, e i suoi ambienti furono destinati a servizio esclusivo dell’attività agricola del nuovo proprietario, accogliendo depositi di granaglie e ricoveri per mezzi e attrezzature.
Nel 1910, identificato come bene di interesse architettonico, è stato vincolato ai sensi della L. 364/1909 e dichiarato ufficialmente Monumento Nazionale. Nel 1923 fu venduto a Cesare Abis, agricoltore benestante di Villasor, al quale nel 1940 fu intimato di sgomberare i locali della casa-forte, in quanto l’uso cui erano adibiti non era ritenuto confacente al valore storico-artistico ad essa attribuiti.
Nel 1985, l’amministrazione comunale ha avviato l’iter per l’acquisto del castello. Nel 1991, il castello insieme alle sue pertinenze è diventa proprietà comunale e già a partire dal 1988, la profesoressa Tatiana K. Kirova ha predisposto un progetto di massima per il restauro, prevendendo un primo intervento su intonaci e murature, pavimenti interni, solai e copertura, e infine la risoluzione dei collegamenti verticali e la sostituzione degli infissi. Successivamente, in seguito al completamento di un organico intervento di restauro condotto tra il 1988 e il 2004, il complesso monumentale è stato adibito a centro culturale, con l’allestimento di una biblioteca e di una mediateca.